Pianta delle Cupressacee (come i cipressi, ma anche le sequoie), sotto il termine ginepro si celano in realtà quasi 70 tipi di questa pianta, di cui solo pochi edibili ed ancora meno adatti alla produzione di gin.
Di dimensioni molto variabili, il ginepro può presentarsi come un arbusto di appena 1 m (Juniperus communis, il ginepro comune), ma anche come un piantone di oltre 30 m (Juniperus virginiana, o “cedro della Virginia”). Tutte le forme hanno però 2 cose in comune: l’essere sempreverdi e… le coccole.
La “coccola” (o galbulo) è una sorta di piccola pigna carnosa che, giunta a maturazione (possono occorrere anche oltre due anni!), assume l’aspetto di una grossa bacca bluastra dall’aroma caratteristico.

Sono proprio queste coccole che una volta raccolte ed essiccate verranno usate nella preparazione del gin.
Ma come ci si è arrivati?
Il ginepro è sempre stato apprezzato per il suo aroma e sapore. Già gli antichi romani utilizzavano le coccole tritate ed essiccate di ginepro come sostituto economico del pepe (uso che si protrarrà fin oltre il medioevo).
A scopo medicinale era già conosciuto anche dagli antichi egizi, che lo usavano per curare la tenia.
Anche i rami di ginepro venivano utilizzati: erano bruciati per fumigare gli ambienti e purificarli, tanto da essere raccomandati persino al tempo della peste: bruciare in casa un rametto di ginepro avrebbe purificato l’aria dal contagio.
Già Plinio il Vecchio (come Aristotele prima di lui e Galeno dopo) parlava però dell’importanza delle bacche di ginepro per purificare le vie urinarie e guarire da coliche, ernie e sciatica. A queste proprietà si aggiungeranno quelle di favorire la digestione e di lenire i dolori reumatici.
Non sorprende quindi che i primi proto-gin siano nati con intenti medici, probabilmente proprio in Italia, dove i monaci della Scuola Medica Salernitana sperimentarono la distillazione delle coccole di ginepro, in modo da ricavarne un prodotto curativo.
E sempre secondo la tradizione (anche se, come vedremo in un articolo dedicato alla storia del gin, non è proprio così), fu sempre un medico e naturalista, questa volta olandese, Franciscus (Franz) de le Boë Sylvius a perfezionarne la ricetta, per ottenere un farmaco contro la febbre e le malattie reumatiche.
Dall’Olanda all’Inghilterra il gin si sarebbe poi diffuso in tutta Europa e, via mare, anche oltre oceano.
Tutti i ginepri vanno bene?
Assolutamente no!
La maggior parte delle tipologie di ginepro coltivate al mondo è tossica per l’uomo e viene usata per scopo ornamentale o paesaggistico: il ginepro non richiede particolari cure (non serve potarlo e resiste bene alla sete) o terreni (anche se preferisce quelli leggermente acidi), aiutando a combattere l’erosione del suolo e le piante infestanti.
Le specie commestibili sono poche (e comunque da usare in modeste quantità). Le principali sono:
Juniperus Communis, Juniperus Drupacea, Juniperus Phoenicea, Juniperus Deppeana, Juniperus Californica.
Alcuni distillatori americani però stanno ora sperimentando varietà locali, come Juniperus Occidentalis e Juniperus Deppeana (chiamato “Ginepro alligatore” per la sua particolare corteccia).
Che sapore ha il ginepro?
Generalmente balsamico, di conifera, ma non è sempre così. Da un punto di vista analitico, le molecole che conferiscono l’aroma al ginepro sono diverse.
La principale è l’alfa-pinene che conferisce (nomen omen) un’intensa nota silvestre e che è normalmente usato nella produzione di caramelle balsamiche.
La seconda molecola in percentuale è il sabinene: costituente essenziale dell’olio di semi di carota, ha un odore legnoso e sembra che sia il responsabile della sensazione speziata tipica del pepe (forse allora gli antichi romani non sbagliavano!).
Da qui in poi si trovano limonene (aroma di agrumato), farnesene (il terpene responsabile dell’odore di mela verde) ed il borneolo (dal tipico odore canforato e di pino, dona una sensazione fresca simile a quella del mentolo ed è spesso usato negli oli essenziali e come repellente naturale per insetti).
La presenza di così tante molecole aromatiche può far intuire come, oltre al sentore base di pino, le coccole di ginepro potranno presentare sentori diversi, in base alla tipologia della pianta, ma anche al luogo ed al clima in cui la pianta è cresciuta, ossia al terroir.
Così mentre alcuni ginepri si avvertiranno immediatamente resinosi, altri presenteranno evidenti note di pepe nero, altre ancora al coriandolo, e persino agli agrumi: proprio in Italia, nella zona di Arezzo di possono trovare coccole dal ricnoscibile aroma agrumato di arancia.
Come si riflette questo sul gin?
Nei gin, per legge, l’aroma principale deve essere quello di ginepro. Come abbiamo visto però questo può differire da coccola a coccola, e quindi da gin a gin.
Come si può distinguere l’aroma di ginepro ed imparare a coglierne le sfumature da prodotto a prodotto?
Semplice! Assaggiando, studiando e degustando!
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